Divas!
Regine della Jazz Era
C’è sempre qualcosa di magico nel leggere una biografia: si entra nel vero romanzo di una vita, nella sua anima, nei suoi disagi, o fortune. Pur essendo spettatori, ci si sente molto vicini a quella persona, e ditelo se non avete mai pensato di volerla conoscere, se non avreste voluto consigliarle “ehi, questa decisione è sbagliata!”, oppure “tieni duro, avrai un futuro splendido”!
Tuttavia, c’è differenza tra storia e storia: s’intende che, se si tratta di artisti, ciò che s’introietta non sono solo le loro vicende esistenziali, ma anche il loro cuore, magari spezzato, o il loro tormento, il loro spirito, denso. Be’, la musica fa così, arriva con prepotenza, con una canzone magari, e chi ce l’ha regalata quante emozioni è riuscito a infonderci? Uh, parecchie. Parecchie.
Pensate ai più famosi brani jazz , swing e blues: lì detro ci sono volti e pure esistenze: è il caso di queste donne, solo alcune tra le più grandi interpreti di quei generi, donne che oggi meritano di fare un salto nel nostro presente, perchè si possa ricordare quanta purezza o castigo sopravvivono eterni nelle musica che ascoltiamo e amiamo di più.
BESSIE SMITH, LA BLUES WOMAN DEGLI ANNI ’20
Elizabeth Smith vede la luce il 15 luglio 1894 a Chattanooga, Tennesse. Di famiglia poverissima (tutta la sua vita è in una baracca) perde i genitori da bambina, e si mette a cantare per strada con uno dei suo fratelli, Andrew, nei posti peggiori che possiate immaginare. A quattordici anni ha la possibilità di lasciare la città con una compagnia nel giro dei minstrel show, del quale faceva parte l’altro fratello Clarence, e di fare la conoscenza di “Ma” Rainey (sua maestà del blues) dalla quale si racconta che Bessie abbia preso diversi spunti per il suo personale blues, dalle radici però nettamente diverse, più urbane che rurali. Lasciata la collaborazione con Ma, entra nel giro del teatro vaudeville come solista e ballerina, sotto l’ala del TOBA (un’associazione teatrale che gestiva spettacoli minstrel e blues).
Al Teatro 41 di Atlanta, dimora di esibizioni per Bessie, l’artista si presenta ad un largo pubblico di gente che prende un treno stipato dal sud per ascoltare il blues, ma anche di talenti provenienti da diversi stati americani, che le saranno molto di aiuto in futuro. Frequenta spesso i buffet flats, dove tra erotismo, gioco d’azzardo e liquori di contrabbando la polizia non entra. Bessie ha sposato Jack e vive a Philadelphia nei primi anni ’20, dove il fermento e la frenesia dei discografici che fiutano le scene nordamericane fomentano una corsa ad ingaggiare gli artisti migliori. Nel 1923, grazie a Clarence William, affermato musicista, Bessie fa le sue prime incisioni con la Columbia Records, affidandosi più tardi al manager della stessa casa discografica Frank Walker.
A metà degli anni ’20, il successo di Bessie fa girare la testa a tutti, e la cantante comincia a collaborare con nomi come Louis Armstrong e il pianista James P. Johnson, entrando di fatto nella scena newyorkese e nello star system di quei tempi. È ricca, paga le auto in contanti, si difende così al meglio dal razzismo. Nel 1927, purtroppo, la sua vita coniugale si sgretola e perde la custodia del figlio adottivo Jack Gee Junior; Bessie abusa di alcol, viene ricoverata, e non gestisce più i raptus di rabbia.
Gradualmente cambiano anche i gusti musicali degli anni Trenta, e al blues di Bessie si preferiscono gli spettacoli altisonanti di Broadway, che non ospiterà la cantante se non per uno spettacolo dal discutibile riscontro. Bessie torna a Philadelphia e mette pochissimo il naso in giro. Il 26 settembre del 1937, l’auto della cantante viene colpita da un camion, e la Smith perde l’avambraccio destro nell’incidente; soccorsa tempestivamente, purtroppo, non raggiungerà l’ospedale a causa delle ferite.
Sarà la Columbia Records. Negli anni ’70, a far incidere dignitosamente la sua lapide, lasciata disadorna dall’indifferente marito di Bessie.
Altre canzoni:
A good man is hard to find, St. Louis blues (live 1929)
Yellowdog blues
ELLA FITZGERALD, THE FIRST LADY OF SONG
Ella nasce il 25 aprile del 1917, a Newport News. I genitori adolescenti si separano, e la madre Tempie la porta vicino a New York, dove conoscerà il patrigno Joseph e la sorellastra Frances. Tempie fa la lavandaia, Jo l’autista; Ella arrabatta spiccioli con dei lavoretti, gestendo anche le scommesse dei giocatori d’azzardo. Il quartiere in cui vive è pieno di amici, coi quali gioca a baseball in strada, ma anche attende di prendere il treno per vedere gli spettacoli ad Harlem, perché la danza e il canto le piacciono davvero molto. Tempie scompare nel ’32 a causa di un incidente stradale, ed Ella viene accolta dalla zia Virginia, poi raggiunta anche da Frances in seguito all’infarto del padre. Cominciano i periodi bui: la solitudine, la fatica nell’andare avanti, sullo sfondo la Grande Depressione.
Poi, il contest all’Apollo Theater nel 1934. Lei voleva fare la ballerina, per questo le era già venuto un attacco di panico durante una passata esibizione canora (dalla quale si ritirò), ma Chick Webb la vede alla Opera House l’anno dopo e ci fa la conta sopra. Il famoso batterista e big band leader di casa Savoy Ballroom, pur avendo già ingaggiato il cantante Charlie Linton, decide di svezzarla e portarla col suo gruppo. “Se piace ai ragazzi, resta”, disse, e alla fine è piaciuta, tant’è che Ella ignora il divieto di Webb di intrattenere relazioni con i suoi musicisti. Da lì, si apre un ventaglio di successi, più di 150 incisi con Chick e altrettanti accompagnati da nomi storici. La voce di Ella paralizza il pubblico, la sua estensione vocale, il timbro e la dizione cristallini e puri rapiscono chiunque, unici diventeranno il suo scat e la sua capacità d’improvvisare. Storica la sua collaborazione musicale con Louis Armstrong, sotto l’ala della Verve Records.
Timida e riservata nel privato, nemmeno Ella stessa (si narra) si è mai resa conto del suo inimitabile talento. Il mentore Webb viene a mancare nel 1939, e la Fitzgerald incontra Milt Gabler e Norman Granz, due manager che le fanno sorvolare gli oceani e calcare le scene più famose del mondo, con le dovute trasformazioni di genere dallo swing al bepo, producendo una discografia storica; soprattutto però, le eviteranno di subire il razzismo imperante di quegli anni (destino toccato ad altre cantanti). A causa del grosso sovraccarico fisico e di un grave diabete che le costerà l’amputazione delle gambe, nel ‘91 si esibisce per l’ultima volta alla Carnegie Hall di New York, giungendo a regalarci tredici Grammy Awards e 40 milioni di album venduti. Ella Fitzgerald ci ha lasciati il 15 giugno del 1996, dalla sua casa di Beverly Hills, dove ha trascorso gli ultimi momenti ad annusare l’aria fresca sotto il portico con i suoi nipoti.
Altre canzoni: Blue Skies, Cheek to Cheek, Summertime
“LADY DAY SWINGS!”: LA TORMENTATA BILLIE HOLIDAY
Una giovane degli anni ’20, che cresce a Baltimora ma che recenti studi testimonierebbero sia nata a Philadelphia nel 1915. Il giovanissimo padre “Holiday”, musicista e donnaiolo, abbandona presto la famiglia per seguire la sua band, costruendo la prima culla di problemi per Eleanora Fegan (il vero nome di Billie). Si racconta che in tenerissima età abbia subito violenze sessuali da un vicino di casa, mentre una difficile infanzia accanto alla cugina della madre segnerà la sua anima d’inquietudine e profonda sofferenza, unita al senso di abbandono scaturito dai numerosi affidamenti famigliari che affronta. Dopo aver scontato un periodo in carcere per questo irragionevole motivo, si trasferisce dalla madre Sadie a New York che -si racconta- è occupata a fare i mestieri (e non solo) in un bordello cittadino.
Lavora nei night club Eleanora, per pochi spicci: si esibisce cantando, e anche molto bene, senza che nessuno glielo abbia insegnato, a volte accompagnata da un pianoforte, altre come performer di gruppo; Bessie Smith e Louis Armstrong i suoi modelli. Billie ha 18 anni quando viene scoperta al Covan da John Hammond, colui che le farà firmare i primi contratti verso le hits del jazz e collaborare con Benny Goodman, clarinettista e front man di fama col quale incide subito un paio di pezzi, purtroppo insignificanti.
D’altronde, durante la Grande Depressione, ci sono pochi soldi per compare i dischi. Poi, a metà degli anni Trenta, i locali ricominciano e rifiorire dai tempi bui, e Billie inizia a lavorare col celebre sassofonista Lester Young: “Lady Day”, la chiama lui, “President”, lo chiama lei. Successivamente collabora con artisti del calibro di Count Basie, col quale deve scurirsi la pelle in pubblico per sembrare più nera, e Artie Shaw, i cui musicisti bianchi la fanno sembrare troppo diversa.
Il successo è in ascesa, e porta con sé alcol, oppio, relazioni brevi e dolorose e, più avanti, l’eroina. Poi la controversa “Strange Fruits” del 1939, spartiacque della sua carriera, un’aperta denuncia al razzismo e ai soprusi contro la comunità nera che dividerà l’opinione pubblica, mentre la polizia si sfregherà le mani per incastrare la tossicodipendente nera Billie più facilmente. Siamo ormai negli anni ’40, e la Holiday si affida al nuovo impresario Granz (che la porterà in Europa), mentre dovrà seppellire la madre nel ’45. Due anni più tardi alleva un branco di maiali per la rieducazione legale imposta al suo arresto per possesso di stupefacenti. Saranno proprio quelle sostanze a rovinarle gradualmente la voce, che si spegnerà del tutto in seguito a una grave cirrosi epatica e a un’altra incarcerazione, legata ad un letto in ospedale, il 17 luglio 1959. “Cantava il jazz direttamente dal cuore”.
Altri brani: God bless the child, Body and souls, The man I love
Samanta (Fosca)
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